Trovo abbastanza buffo che nel primo consiglio dedicato ai film io mi sia prodigata nello specificare che si tratta della forma di narrativa per cui ho i gusti più mainstream di tutti, che conosco poco del linguaggio del cinema e che dunque vedrete pochi post a tema ecc ecc., per poi finire a scrivere due dei quattro articoli di quest’anno su dei film… D’altra parte non ho mai preteso di essere una persona coerente. Mi rendo conto che mi mancano delle basi importanti per parlare di cinematografia in maniera completa e interessante, ma d’altra parte ci tengo talmente tanto a questa segnalazione, visto che mi permette (finalmente!) di parlare di cinema che mi è davvero tanto caro, che preferisco mettere in piedi un consiglio un po’ didascalico e poco brillante ma che potrebbe permettere a qualcuno di muovere i primi passi del cinema coreano meno famoso. Proprio così, è un sacrificio bello e buono quello che faccio, ma d'altronde ho invece la pretesa di essere una persona altruista, tipo uh… scrivendo articoli che mi divertono sul mio blog personale? No?
Giustificazioni non richieste a parte, ci tengo a fare questa segnalazione perché se negli ultimi anni il cinema della Corea del Sud ha ricevuto rinnovate attenzioni e interesse anche da parte della stampa generalista, il tipo di film che arrivano ai giornali, alle testate cinematografiche più popolari o ai portali di aggregazione di recensioni sono spesso e volentieri un po’ monotematici – insomma, quando si parla di cinema dalla Corea o si parla di horror o si parla di thriller. Mi sento di dire tutto sommato anche a ragione: i thriller coreani fanno spesso e volentieri le scarpe a quelli anglofoni per qualità della recitazione, intreccio e sequenze d’azione (guardatevi The Chase, The City of Violence o perché no, A Bittersweet Life e poi ne riparliamo) e non c’è dubbio che la popolarità di Parasite renda più facile che sia questo tipo di titoli ad essere distribuito dignitosamente anche in occidente. Sarebbe però estremamente scorretto – e piuttosto razzista – pensare che allontanandosi da questi generi e da qualche grande Regista-Camaleontico-con-la-R-e-la-C-maiuscole (Kim Ki-duk, Lee Chang-dong ecc.) la Corea abbia poco o nulla da offrire. Dunque per le segnalazioni di oggi mi sembra giusto presentarvi due film relativamente atipici se paragonati ai titoli che hanno avuto più fortuna presso la distribuzione nostrana: Fantastic Parasuicides e The World of Us, completamente differenti come struttura, intreccio e tematiche ma entrambi assai competenti in quello che si propongono di fare.
Fantastic Parasuicides
Il primo film del consiglietto di oggi è in realtà una raccolta di corti, ciascuno girato da un regista diverso, a tema, beh… para-suicidi fantastici. Para- perché come potrete immediatamente notare già dal primo corto, ciascuno dei protagonisti incontrerà più difficoltà del previsto nel tentare di togliersi la vita, e fantastici perché ciò che capiterà nel corso di questi tentativi difficilmente potrà essere descritto in altro modo; dalle situazioni apertamente sovrannaturali fino a quelle semplicemente bizzarre, ciascuno dei corti sceglierà un angolazione diversa da cui esplorare che cosa passa per la mente di una persona che vuole morire e che cosa può succedere attorno a lei per farle cambiare idea.

Il poster non mi dispiace, ma forse è solo perché ho un debole per questa palette.
Tra i tre, il primo corto è quello che adotta la prospettiva più surreale e votata allo strambo per il gusto dello strambo: la protagonista è una studentessa che dopo essersi presentata troppo in ritardo per sostenere un esame decide di buttarsi dal tetto della scuola; anziché morire, però, si risveglia in una realtà simile alla nostra, ma che si rivelerà lungo lo snodarsi della vicenda decisamente più peculiare. Come accennavo, il suicidio in questo corto è poco più che un pretesto per dare inizio alle avventure carrolliane in cui la protagonista sarà impantanata per tutta la durata della storia: non c’è alcuna pretesa di parlare delle modalità e delle motivazioni dietro al gesto che vadano oltre al pretesto di trama o alla stucchevole banalità del finale. Il film è però piuttosto conscio di questa superficialità, poiché il fascino del corto risiede nel domandarsi ad ogni momento quanto la situazione potrà ancora farsi più assurda: da un ragazzo con una bomba nella macchina ad un insegnante paranoico, passando per una serie atroce di effetti speciali che verso il finale diventeranno alquanto buffi, il motivo principe per completare la visione di questa prima parte del film sta proprio nella sequenza onirica in cui la protagonista verrà sballottata. Di certo il corto più debole di questa raccolta, ma ugualmente divertente se si ha un certo gusto per il surreale a basso budget.
Il secondo corto, intitolato Fly Chicken, sceglie modalità più sobrie (ma non per questo meno peculiari) per esplorare il tema della raccolta. La premessa infatti è quella di un agente segreto che trova rifugio in una casa sul mare, dove inizia a pianificare il suo suicidio per sfuggire al suo terribile passato; in teoria tutto ciò che deve fare è premere il grilletto, ma una serie di eventi bizzarri ritardano il momento fatidico. E con “una serie di eventi bizzarri” mi riferisco principalmente al pollo che compare in riva al mare, con cui il nostro protagonista avrà una serie di dialoghi intensi e drammatici, appropriatamente sottotitolati in coreano e in inglese vista l'impossibilità dell'uccello di esprimersi in lingua umana. Il contrasto tra la serietà dei momenti in cui l’agente segreto rimane da solo a confrontarsi con gli oscuri meandri della sua psiche, e quelli in cui interagisce con il pennuto nel tentativo di aiutarlo a liberarsi dalla rete in cui è invischiato suscita una certa ilarità – anche se il regista è molto bravo a mantenere una certa serietà e tensione circa il destino finale del protagonista, camminando sulla linea sottile che separa la commedia nera dal dramma; complice anche la durata ridotta, questo tono ibrido e l’azzeccata scelta di ridurre i dialoghi all’osso – le uniche interazioni verbali saranno proprio quelle con la gallina – permettono allo spettatore di lasciarsi catturare da quest’atmosfera così peculiare fino ad un finale ambiguo ma abbastanza spiazzante da risultare una degna conclusione del film.

Come vedete non mento mai. Solo segnalazioni di qualità su questo blog.
Ok, arrivati al terzo corto – che è, per inciso, di gran lunga il migliore nonché il mio preferito della raccolta – mi sento di specificare che il mio punto debole quando leggo/guardo/ascolto fiction sono i vecchi tristi. Potrete sparare tranquillamente ad una dozzina di bambini senza vedermi battere ciglio (… sì, dicevo, nella fiction), ma mostratemi un signore anziano che mangia una minestrina patetica nel suo appartamento vuoto e sarò costretta a tastare se sul comodino sono rimasti dei fazzoletti con cui asciugarmi il moccio che mi starà già colando giù per il naso. Dunque partivo già disposta ad accogliere come si deve questo corto su un anziano signore che un giorno si sveglia e si rende conto che nessuno si ricorda più che è il suo compleanno. Non il partner – morto anni prima – e non i pochi amici che gli sono rimasti; messo di fronte alla desolazione e alla noia in cui si consumano le sue giornate, il protagonista decide che è arrivato il momento di lasciarsi la vita alle spalle, e decide di sdraiarsi sulle rotaie in attesa del treno poco distante dalla città in cui abita. Piano che viene scombussolato dalla presenza di un’altra persona sulle rotaie, che sembra ugualmente in pericolo ma meno desiderosa di morire… Quale miglior occasione per dare un senso alla propria vita prima di compiere l’estremo gesto? A partire da questo inizio si dipanerà un intreccio rocambolesco che tiene con il fiato sospeso fino alla fine: proprio perché il corto è così abile nel farci provare empatia nei confronti del nostro anziano protagonista ogni minuto sarà speso a “tifare” per lui, oltre che a domandarci che cosa succederà: innanzitutto, riuscirà a salvare dai gangster che lo inseguono il giovane incontrato sulle rotaie? E secondariamente, riuscirà a farlo senza divenire lui stesso una vittima o rimarrà rassegnato fino alla fine all'idea del suicidio?
A questa storia appassionante si aggiunge anche un finale davvero brillante: un paio di colpi di scena perfettamente giustificati anche all’interno di un corto così breve, e l’abilità del regista di dosare le rivelazioni sul passato e sul presente nei momenti più opportuni, permettono a questo film di finire meglio di come è iniziato – e non era un’impresa facile. Emozionante, divertente e capace di suscitare genuina preoccupazione per le sorti dei personaggi coinvolti, si tratta del corto migliore della raccolta e quello che permette a Fantastic Parasuicides di fare un decisivo salto di qualità. Se siete ancora indecisi se dare una possibilità all'intero film, vi consiglio di guardare almeno questo.

Sì, il ragazzo necessita di una mano. Immaginatevelo un po’ come il povero Jessie Pinkman ma senza la dipendenza.
The World of Us
Nel momento in cui ho iniziato a buttare giù la struttura della recensione mi sono resa conto di quanto The World of Us risultasse un’anomalia rispetto al genere di storia di cui parlo di solito sul blog. Si tratta infatti di una vicenda senza alcuna traccia di fantastico, incentrata sul rapporto tra due bambine alla fine delle elementari che fanno amicizia nel corso di un’estate e che vedono il loro rapporto messo a dura prova al ritorno sui banchi di scuola. Sembra un genere di storia lontanissimo sia dalle mie corde sia da quello che scelgo di recensire su questo spazio, ma la verità è che il film è riuscito a colpirmi per la precisione mimetica con cui dipinge quel tipo di amicizie intense che si formano tra giovani emarginati, senza per questo idealizzarle o spogliarle dei loro lati più vulnerabili e crudeli (oltre ad essere del tutto sconosciuto al grande pubblico); dunque ho deciso che meritava uno spazio su questo blog, nonostante si tratti di un film che lavora per tutto il tempo con archetipi più che consolidati e che abbia ben poco di stravagante o bizzarro.

Già dalla locandina è facile capire quale sarà la palette del film,
Sun è un bambina che frequenta gli ultimi anni delle elementari, ed è molto sola. A scuola è presa di mira dalle compagne e non ha nemmeno un’amica con cui passare del tempo assieme durante l’intervallo; quando torna a casa si trova a dover curare il pestifero fratellino, a cui sua madre presta molte più attenzioni di quante non ne abbia mai prestate a lei, mentre suo padre beve troppo spesso e quando beve diventa sgradevole. Quindi quando durante la pausa estiva incontra per caso Jia, una ragazzina appena trasferitasi da un’altra scuola che non conosce ancora nessuno, Sun decide che dovrà fare di tutto per conquistarla: il suo piano funziona a meraviglia, ma quando le due bambine tornano a scuola per l’ultimo anno iniziano i problemi… Ecco, leggendo questo rapido riassunto penso che la maggior parte di voi non avranno difficoltà ad immaginare che cosa succede in questo film. L’intera storia si muove infatti su strade ben tracciate e soffre di un certo disinteresse a parlare di temi come il bullismo, l’isolamento e l’amicizia intensa e totalizzante dei bambini in maniere meno convenzionali rispetto agli archetipi già visti e rivisti nella fiction. Quello che distingue questa pellicola dai suddetti archetipi (la cui visione mi è onestamente di solito indigesta) è la qualità della scrittura dei personaggi e la bravura di tutte le interpreti.
Per elaborare il secondo punto, le due attrici principali sono molto naturali nel loro ruolo; è difficile trovare attrici o attori così giovani con una certa abilità (come penso dimostri bene il film recensito nello scorso consiglio), ma entrambe sono bravissime nel rendere ciascuna sfumatura del proprio personaggio. Sun desidera disperatamente piacere a qualcuno, tanto che in ogni scena ogni suo movimento, dall’imbarazzo con cui si muove vicino ad altri fino al suo prodigarsi in mille gesti fin troppo gentili, tradisce la necessità di sembrare piacevole, disponibile, amabile: l’amica perfetta; di contro, Jia appare assai più sicura di sé – eppure anche Jia nasconde più di un segreto, e la sua incapacità di affrontare la solitudine avrà conseguenze molto crudeli. Insomma, la regista Yoon Ga-eun è al suo meglio quando si tratta di rendere con accuratezza le mille sfumature di un’amicizia così ricca di fragilità, tra un’emarginata disposta a smussare ogni lato potenzialmente sgradevole della sua personalità per scappare dalla sua solitudine e una bambina spavalda che nasconde i propri difetti e la propria codardia dietro una facciata cool e patinata.

tipregoamamitipregotipregoTIPREGO – il monologo interiore di Sun in ogni momento del film.
Entrambe le protagoniste – e anche il gruppo di bulle che rende la vita impossibile a Sun – interagiscono poi su uno sfondo molto abile nel riprodurre con mimetica precisione le attività e i giochi più comuni a quell’età: la telecamera indugia spesso sulle unghie dipinte (ma anche nude, scheggiate e morsicate) delle protagoniste, o sul telefono pieno di giochi, sulle matite colorate di marca e così via. In senso più ampio, si tratta di un film che non avrebbe affatto stonato inserito nel mio post precedente: l’atmosfera estiva che permea la maggior parte del film è costruita grazie alle strade semideserte, ai parchi abbandonati dagli studenti in vacanza, ai colori pastello desaturati in cui è avvolta tutta la pellicola. Sono rimasta piuttosto impressionata dall’abilità della regista di catturare quelle sensazioni specifiche che si provano durante la pausa estiva quando si è bambini, nonché di ancorarle ad elementi fisici così azzeccati.
Ammetto di essere ancora incerta su quanto mi siano piaciute le battute finali di questo film, che forse soffrono di una certa convenzionalità, ma mi sento di dire che per la maggior parte del film Yoon evita di cadere in facili buonismi sulla natura dei bambini e su quanto siano più “puri” degli adulti; trovo che ciò sia vero anche sul finale, anche se non faticherei a capire il punto di vista di chi si sarebbe aspettato qualcosa di più radicale e meno vicino ai canoni del genere. In ogni caso, se il tema non vi repelle istintivamente consiglio caldamente la visione! Non sono molti i film che parlano di bullismo che riescono a non farmi alzare gli occhi al cielo durante la visione, ma questo c’è riuscito.

Il fratellino di Sun è adorabile, nonostante sia una peste. Devono essere le guanciotte.
Anche la segnalazione di oggi giunge al termine: sono assai soddisfatta di aver potuto finalmente dedicare un intero post al mio amato cinema coreano, peraltro segnalando titoli un po’ lontani anche dal “suo” mainstream. E dico così perché so quanto siano irreperibili i due titoli segnalati: se aveste difficoltà a recuperarli non esitate a mandarmi un messaggio sul blog e vedrò di farvi avere il materiale necessario. Dunque spero vivamente che almeno uno di questi film abbia catturato la vostra attenzione – e davvero, se seguite questo blog per il bizzarro non potete non dare una chance a Fantastic Parasuicides.